“Oasis: Supersonic” di Mat Whitecross

La fretta è di certo il dettaglio più penalizzante di un documentario come “Oasis: Supersonic”, racconto dell’arcifamosa band di Manchester in sala solo per tre giorni (7, 8 e 9 novembre), secondo le logiche del film evento a prezzo maggiorato ormai tanto di moda.
Già, i realizzatori di questo documentario si sono svegliati fin troppo tardi, ma hanno deciso comunque di voler far arrivare in sala questo film entro la fine del 2016, in occasione del ventennale del concertone della band inglese tenutosi a Knebworth Park nell’agosto 1996. Ed è di certo un peccato perché di materiale da tirare in ballo ce ne era fin troppo e di più necessario. Così tanto che il racconto è zeppo di informazioni, corre come un treno, ma una volta arrivato alla fine lascia la sensazione che parecchie altre cose sarebbero potute uscir fuori. Cose più rilevanti, interessanti. Cose più succose e profonde, come il controverso rapporto dei due fratelli Gallagher, croce e delizia nella storia della band, inizio e fine di tutto. Ed invece questo aspetto viene quasi totalmente trascurato, se teniamo conto di qualche accenno superficiale sparso qua e là, specialmente quando entra in gioco la testimonianza di mamma Gallagher, probabilmente l’unico personaggio ad acquisire forza nel corso della narrazione. E per raccontare un argomento simile sarebbe dovuto durare di più? Certo, ma la sua durata sarebbe stata anche più che giustificata, magari sgrossando invece un po’ dell’eccessivo cazzeggio presente nel montaggio ufficiale, dove l’interesse è focalizzato a mostrarci le ragazzate, il divismo e il “fuck the system” dei componenti della band.

Inoltre, dettaglio non meno importante, ha il limite (perché un pregio non sembra) di apparire come un progetto indirizzato esclusivamente ai fan e a coloro che già sanno di tutto e di più sui personaggi inquadrati. Zero interesse ad allargare il target a chi degli Oasis sa poco e a chi non è solito idolatrare questi ragazzacci.

 

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