“Blue lagoon”
Il punto è che Guillermo c’è.
Poi si, anche solo confrontandolo con “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” il dubbio che forse il Leone d’oro non fosse proprio destinato a lui arriva, ma il punto è che il massimo riconoscimento del Festival di Venezia è stato assegnato a quel suo peculiare tipo di film. “La forma dell’acqua” è uno smagliante melò fantasy con una dolce donzella, una magica creatura marina, un cattivone molto cattivo, due personaggi secondari che come la creatura marina si trovano a dover fare i conti con la diffidenza se non la violenza delle persone, un personaggio che sembra una cosa e poi è un’altra. Tutto ambientato nel passato ovviamente, per la precisione gli anni sessanta, a Baltimora. Come al solito quando si vede un film di del Toro, poco da ridire sulla messa in scena e sulle capacità di narratore dell’autore, che riesce a tirar fuori tre-quattro grandi momenti finale compreso. Non ci prova neanche troppo a fare l’autore Guillermo, lui ama i mostri (o la mostarda, a seconda del festival in cui si esprime) e le storie di mostri. E probabilmente adora raccontare le sue favole così come vorrebbe venissero raccontate a lui (e come forse gliele raccontavano).
Nota negativa per le musiche di Desplat che si, indubbiamente funzionano in certi frangenti, ma sembrano frutto di una certa svogliatezza da parte dell’autore che sembra più che altro lo Yann Tiersen de “Il favoloso mondo di Amélie” dopo mangiato a ferragosto.
Si si, ci ha pure vinto l’Oscar, qualcuno ci spieghi perché.
Si si, ci ha pure vinto l’Oscar, qualcuno ci spieghi perché.